Premesse
L’alopecia areata è una patologia caratterizzata dalla comparsa più o meno repentina di una o più chiazze prive di peli sul cuoio capelluto e/o sulla barba, ascelle, pube e arti.
La percentuale dei soggetti affetti da Alopecia areata riguarda lo 0,1-0,2% della popolazione e nel 60% dei casi la malattia si manifesta prima dei 20 anni (Am Clin Dermatol 2006).
La sua evoluzione è capricciosa potendo essere autorisolvente o aggravarsi con chiazze espansive e confluenti su tutto il cuoio capelluto (Alopecia totale) o su tutto l’ambito cutaneo (Alopecia universale); queste varietà cliniche tendono ad essere resistenti ai vari trattamenti.
La complessità delle cause, genetiche, immunologiche, infiammatorie, che stanno alla base della malattia ne rende non facile la gestione; i pazienti richiedono infatti un continuo monitoraggio da parte del dermatologo che non deve lasciare nulla di intentato.
Effettuata una corretta anamnesi, è importante stabilire due parametri fondamentali: l’estensione della malattia ( interessamento inferiore o superiore al 50% del cuoio capelluto) e il grado di attività della malattia ( attiva, stabile, in risoluzione).
Le notivtà
La prima novità riguarda l’adeguamento della terapia alla fase clinica in cui si trova il paziente al momento dell’osservazione; questo significa che il farmaco (o il trattamento) scelto dovrebbe di volta in volta contrastare e non aggravare tutti i fenomeni biologici che sono in atto al momento della osservazione e della valutazione clinica, quindi in presenza di lesioni attive-espansive, un controllo mensile è adeguato per la verifica della stabilizzazione.
Tale approccio sembrerebbe fornire un valore aggiunto alla ottimizzazione dell’efficacia complessiva della terapia.
Nelle forme estese (interessamento del cuoio capelluto maggiore del 50%), le terapie topiche tradizionali prevedono ad oggi come prima scelta l’impiego di corticosteroidi topici ad elevata potenza.
Recentemente è stato pubblicato un lavoro sull’utilizzo del clobetasolo propionato al 5% in occlusiva in pazienti con alopecia totale e/o universale per 6 giorni consecutivi la settimana, per 6 mesi.
E’ stato visto che il 28,5% dei pazienti ha mostrato una risposta tra la 6a-14a settimana di terapia a dimostrazione del fatto che qualunque sia il trattamento intrapreso, questo funziona solo in una percentuale dei casi e che nelle forme di alopecia totale/universale è necessario aspettare sempre un certo periodo di tempo prima di poterlo considerare inefficace.
Nei casi resistenti alle terapie tradizionali recentemente è stata proposta una terapia sistemica con acido fumarico.
La prima segnalazione sull’impiego in dermatologia dell’acido fumarico risale agli anni ’50 per la terapia di una nota malattia della pelle chiamata psoriasi; un chimico tedesco, Schweckendiek, se lo autosomministrà essendo lui stesso affetto da questa patologia.
Solo alla fine degli anni ’80 si ripresero in maniera consistente gli studi sull’ impiego di questa sostanza nella psoriasi, grazie soprattutto all’intuizione del tedesco Schaefer che utilizzò una formulazione chimica diversa, gli esteri lipofili dell’acido fumarico, meno tossici e meglio tollerati.
Nella psoriasi, l’acido fumarico agisce come immunomodulante riducendo il numero dei linfociti attivati (Th1) e di conseguenza la produzione di una serie di sostanze chiamate citochine quali: TNFÁ, IL6, EGF, INFÃ TGFÁ, che amplificano la malattia, mentre aumenta la quota dei linfociti Th2 e delle loro citochine, con un complessivo effetto antiproliferativo sui cheratinociti.
Questa azione di bilanciamento delle citochine è alla base del suo impiego nella alopecia areata, nei casi resistenti alle terapie “convenzionali”. Dalle esperienze cliniche fino ad ora riportate in letteratura, la somministrazione del farmaco per 6 mesi ad un dosaggio giornaliero massimo di 120 mg potrebbe rappresentare una valida opzione che andrebbe verificata da studi multicentrici (ovvero in sedi diverse e in un numero maggiore di pazienti). anche perchè ben tollerata e con modesti effetti collaterali ( rossore e sensazione di calore, diarrea, crampi allo stomaco, mal di testa).
Devono essere esclusi dal trattamento pazienti affetti da patologie renali, gastrointestinali, leucopenie, e con pregressa positivit¨¤ anamnestica verso tumori, donne in gravidanza.
Nel trattamento delle forme gravi, l’immunoterapia topica è tutt’oggi impiegata; vengono utilizzate sostanze capaci di indurre una dermatite allergica da contatto nel sito di applicazione (cuoio capelluto). La dermatite artificialmente prodotta modifica la reazione immunologia che si sviluppa intorno al follicolo malato, allontanandola e permettendone la ricrescita.
Tutte le sostanze finora usate (SADBE, DNCB, DPC) per l’immunoterapia topica hanno lo svantaggio di indurre nel tempo sensibilizzazione non solo nel soggetto affetto ma nel personale medico e infermieristico addetto e negli stessi membri familiari dei pazienti trattati. Recentemente è stata avviata una esperienza clinica sperimentale di immunoterapia; la novità proposta da E. Rosenberg ed E Skinner ( Memphis, Tennesee) è nell’impiego come sostanza sensibilizzante dell’estratto di Candida albicans, con infiltrazioni intralesionali.
L’impiego dell’estratto di Candida albicans per iniezione come immunostimolante nasce dall’esperienza sul trattamento delle verruche volgari (Signore RJ, 2002). Candida albicans è un fungo che pu¨° essere normalmente presente sulle nostre mucose: cavo orale, tratto gastrointestinale, genitali esterni. In particolari circostanze legate ad una alterazione dell¡¯equilibrio della flora normale, si assiste alla comparsa di un episodio di candidosi clinicamente evidente.
L’ estratto di Candida, se inoculato nella pelle, provoca una reazione immunitaria locale (immunogenicità). Il suo impiego nella alopecia areata si prospetta efficace al pari delle sostanze finora impiegate per l’immunoterapia tradizionale, presentando però una maggiore maneggevolezza. La terapia è ben tollerata, possono aumentare i linfonodi ai lati del collo, e si può avere un rialzo febbrile transitorio espressione della avvenuta “reazione”.
La premedicazione della zona da trattare con una crema anestetica, rende possibile il suo impiego nei bambini. Non vengono segnalate al momento controindicazioni.
In conclusione, sebbene ancora non possiamo certo parlare di terapie risolutive, queste due opzioni si prospettano piuttosto interessanti ma da riservare ad un campione adeguatamente selezionato di pazienti, monitorati da dermatologi specificatamente esperti in tricologia.
Tiziana Di Prima, dermatologo, Catania
Lea Margherita Torrisi, dermatologo, Catania