Gli estratti placentari hanno avuto in passato un ampio utilizzo. Solo all’inizio degli anni ’80 sono ripresi seri studi volti in particolare a chiarire i problemi inerenti all’impiego terapeutico degli estratti placentari e sono state in piccola parte chiarite alcune delle loro presunte proprietà farmacologiche.
Estratti placentari:
Il loro uso deriva dalla tradizione della opo-organoterapia e dalle discutibili teorie di Brown-Séquard (1817-1894), successore di Claude Bernard al Collegio di Francia, che verso la fine dell’800 preconizzò l’uso terapeutico del succo (opos) d’organo per la cura dell’organo malato.
La preparazione di questi “estratti” dava luogo a preparati instabili, senza caratteristiche costanti e riproducibili, dipendendo la loro composizione da circostanze aleatorie e non riproducibili come la temperatura di conservazione e la freschezza degli organi utilizzati.
La loro efficacia, descritta in termini miracolistici dalla letteratura dell’800, non è mai stata realmente dimostrata; ciò nonostante le specialità opoterapiche hanno avuto fino a ieri una popolarità e una diffusione tanto larga che ancora nell’1966 il prontuario terapeutico italiano riportava, ad esempio, ben 18 specialità cardiologiche a base di “cuore”. Successivamente i preparati opoterapici sono stati tanto svalutati che l’Enciclopedia Medica Italiana (USES) li definisce come “espressione sostitutiva del cannibalismo rituale”.
Nella scia della opoterapia si collocano nel 1933 le ricerche di Filatov sugli estratti di placenta, che utilizzati e descritti dalla letteratura di allora come cicatrizzanti, anti-osteoporotici, ricostituenti, anabolizzanti, anticalvizie etc. ebbero, ed hanno ancora, larga diffusione.
Si trattava allora di estratti “totali” (o “crudi” secondo la letteratura anglosassone) cioè contenenti tutte le sostanze estraibili con un determinato procedimento.
Filatov attribuiva la loro attività a non meglio identificate “biostimoline”. Negli anni ’50 gli estratti placentari hanno avuto un ampio utilizzo e tra i numerosi lavori di quel periodo vanno ricordati quelli di Scotti che formulò, in chiave biochimica, alcune ipotesi sul loro meccanismo di azione. Poi seguì un periodo di relativo oblio durato circa 20 anni.
Solo all’inizio degli anni ’80 sono ripresi seri studi volti in particolare a chiarire i problemi inerenti all’impiego terapeutico degli estratti placentari e sono state in piccola parte chiarite alcune delle loro presunte proprietà farmacologiche.
Sono stati identificati sul tessuto di placenta umana recettori per l’Epidermal Grow Factor (Hoch E.A.), sono state chiarite le caratteristiche della frazione collagenica placentare (Kao K.Y.) (Furoto D.K.), è stata infine identificata nei tessuti placentari una attività somatostatino simile (Kumasaka T. et Coll.) ed una attività tireotropino-releasing simile (Youngblood W.W.).
Grazie alle recenti acquisizioni farmaco-biologiche sappiamo che gli estratti crudi placentari contengono:
–mucopolisaccaridi, cui sono attribuiti effetti eparino simili (Moggi G. et Coll.) (Bianchini P. et Coll.), chiarificanti(Kennedy J.F.)(Angelucci L.) e cicatrizzanti (Bigliardi P.)(Papalini R. et Coll.);
–polidesossiribonucleotidi, cui sono attribuite attività anticomplemento ed attività antiinfiammatoria, antiedemigena ed antireaginica (Cattarini O. et Coll.) (Bianchini C. et Coll.);
–collagene e polipeptidi, cui sono attribuite funzioni trofiche (Scotti G.)(Gate J.);
–fattori di crescita della famiglia dell’EGF (Hoch E.A.);
–estrogeni, progesterone, somatomammotropina, HCG etc;
probabilmente molti altri fattori non ancora identificati ad attività endocrina paracrina ed autocrina (come dimostrano ad esempio le già citate attività somatostatinica e tireotropinica).
La fama degli estratti Filatov come anticalvizie fu talmente vasta e tanto radicata che ancora oggi il medico prescrive, pur senza convinzione, “estratti placentari” per uso topico come primo approccio nel paziente che perde (o crede di perdere) capelli e, del resto, anche l’Industria cosmetica ne fa abbondante uso.
Oggi però la Farmacopea (ed il Ministero) richiede che questi estratti siano titolati mediante la determinazione di “principi attivi” ben caratterizzati ai fini terapeutici ed espressi in unità biologiche o ponderali (in particolare, la titolazione viene comunemente fatta in unità anticomplemento ed in polidesossiribonucleotide); inoltre gli estratti placentari devono essere privi di estrogeni e gestageni; così titolati e depurati gli estratti sono definiti come “Ufficiali” e posti in commercio.
Riteniamo che questi estratti placentari ufficiali siano stati presumibilmente “depurati” di tutto ciò che li rendeva attivi come anticalvizie e che, inoltre, essendo “estratti acquosi”, siano pressoché incapaci di penetrare attraverso la barriera epidermica. Si tratta in definitiva solo di buoni placebo.