I consigli dei ricercatori
Prima di parlare di vitamina D e coronavirus, è necessario fare una premessa sulle caratteristiche di questa vitamina. I due autori di questo documento suggeriscono per prima cosa l’esposizione al sole e all’aria aperta. Questo è il metodo naturale più efficace tramite il quale il nostro corpo sintetizza vitamina D, anche se la capacità della pelle di sintetizzare questa vitamina diminuisce con l’avanzare dell’età. Elencano, quindi, una serie di alimenti (pesce azzurro, tipo aringhe, spigole, alici; nonché uova, funghi e latticini) che sono ricchi di vitamina D.
Vitamina D: integrazione e dose d’urto
Il consiglio finale è il ricorso a specifici preparati di vitamina D3 sotto controllo medico. A questo, si aggiunge l’utilizzo di calcitriolo (la forma attiva finale di vitamina D) per via endovenosa nei casi già gravi con difficoltà respiratorie. Cerchiamo, quindi, di capire meglio la correlazione tra vitamina D e coronavirus.
Il sole non basta più?
L’integrazione con vitamina D in dosi adeguate potrebbe essere la strada da percorrere in situazioni di emergenza, in cui si deve far salire in fretta il dosaggio nel sangue. Questo perché essa vanta tra le sue principali attività quella di elevare le difese immunitarie. In questo senso, la vitamina D può essere utile contro il coronavirus.
Inoltre, per anni, l’integrazione di vitamina D è stata considerata quasi superflua. Si pensava che bastasse per tutti l’esposizione minima al sole per evitare il rachitismo, la malattia dell’apparato scheletrico che ha portato alla scoperta della vitamina D quasi un secolo fa.
Dosaggi e megadosaggi
La necessità di avere in meno tempo livelli più alti di vitamina D ha indotto molti medici a prescrivere nei casi di carenza dosaggi elevati mensili o bisettimanali. Queste dosi hanno sostituito i normali dosaggi giornalieri, i quali portano a livelli ottimali di vitamina D nel sangue in tempi molto lunghi. I dosaggi elevati sotto prescrizione medica potrebbero, quindi, essere la strategia da adottare anche nelle emergenze come questa del coronavirus. Ma, solo in presenza di una carenza reale di questa vitamina.
Carenza e insufficienza
C’è disputa tra gli specialisti sui livelli adeguati di vitamina D nel sangue. Innanzitutto, la carenza vera e propria è stabilita quando i livelli nel sangue sono inferiori a 10 ng/dl. Oltre questo valore, si parla di insufficienza: si ha la necessità di integrare e ci si vorrebbe limitare a valori compresi tra 10 e 20 ng/dl, anche se molte società mediche indicano l’insufficienza fino a 30 ng/dl. Comunque, oltre questa soglia e fino a 100 ng/dl, i livelli sono considerati sufficienti, ma oltre possono risultare tossici.
Tossicità
Oltre questi livelli, la vitamina D può diventare tossica e problematica. Tra le conseguenze, si hanno la calcificazione dei tessuti molli (parete dei vasi sanguigni e dei tubuli renali con formazione di calcoli) e la rimozione del calcio dalle ossa (ipercalcemia che può diventare letale).
Diffusione dell’ipovitaminosi D
Pare che il 70% degli italiani non abbia livelli sufficienti di vitamina D senza grandi differenze geografiche. Nel documento dell’Università di Torino si fa presente che nella popolazione di Italia, Spagna e Grecia si hanno i livelli europei più elevati di ipovitaminosi D. Mentre, nel Nord Europa, il problema è minore per la radicata consuetudine di addizionare con vitamina D i cibi di largo consumo (latte, formaggio, yogurt, etc).
Il clima favorevole non basta per l’anno intero
Nel Sud Europa, è più diffusa l’ipovitaminosi D perché probabilmente si ritiene che il clima più soleggiato sia sufficiente per avere un livello alto per tutto l’anno. Ma non è così. I livelli tendono a salire solo d’estate e a calare già all’inizio dell’autunno, raggiungendo il minimo in primavera. Da qui, i ricercatori torinesi ipotizzano un imperversare dei contagi da coronavirus in questo periodo e la speranza di una possibile diminuzione con l’arrivo della bella stagione.
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Gli stili di vita attuali non aiutano
A questi fattori stagionali, si aggiungono gli stili di vita attuali che in autunno e in inverno portano molta più gente a vivere in ambienti chiusi e con luce artificiale. A differenza, invece, di quanto accadeva in passato quando erano molte di più le persone che svolgevano lavori all’aperto e sotto la luce naturale (si pensi all’agricoltura, ma anche alle attività edili e nei cantieri all’aperto). Anche le vacanze estive al mare o in montagna, con il corpo esposto alla luce solare, tendono a ridursi a due o tre settimane al massimo. Ecco perché non permettono di fare le giuste scorte di vitamina D.
Vitamina D e Coronavirus: il mantenimento dei livelli
Con gli stili di vita prevalenti, oggi diventa importante integrare appositamente la vitamina D. Soprattutto per mantenere i livelli raggiunti con gli opportuni preparati e l’adeguata esposizione durante la bella stagione. Il mantenimento dei livelli adeguati si può ottenere senza rischi integrando giornalmente la dose consentita dal Ministero della Salute: 2.000 Unità Internazionali (UI) al giorno corrispondenti a 50 microgrammi di colecalciferolo.
Inoltre, questo tipo di integrazione di mantenimento può essere adottata anche da chi non manifesta carenze o insufficienze. Questo perché, tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, si registrano i livelli minimi di vitamina D. A maggior ragione deve avvenire durante l’emergenza attuale: la vitamina D può essere utile contro il coronavirus perché esso costringe tutti a restare al chiuso in casa e a rinunciare appieno alla produzione naturale di questa preziosa vitamina.
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