Mentre in Italia e nei forum specializzati è altissimo l’interesse per il Trinov, il preparato di Fidia su brevetto del dott. Brotzu indicato per i due tipi più diffusi di alopecia, l’androgenetica (calvizie comune) e l’areata, la ricerca internazionale in campo tricologico sta intensificando gli studi sugli inibitori dell’enzima JAK3 (Janus Chinasi 3), farmaci di ultima generazione, già usati contro l’artrite reumatoide, che agiscono contro le varie forme di alopecia areata come l’alopecia totale (su tutto lo scalpo) e universale (su tutto il corpo).
Da quando circa 5 anni fa il farmaco Tofacitinib si è rivelato efficace nel risolvere dei casi di alopecia areata si sono susseguiti gli studi su questo attivo e sul farmaco analogo Ruxolitinib e si è iniziato anche a sperimentare questi attivi somministrandoli topicamente, ipotizzandone l’efficacia anche per la calvizie comune.
Di recente sono usciti due studi che danno un’idea di cosa aspettarsi dagli inibitori della JAK3 e che ne indicano anche i possibili limiti. Si tratta di un caso seguito da due Università statunitensi, che ha visto un diciassettenne affetto da alopecia universale curarsi con successo per sei mesi con Tofacitinib orale a 5 mg al giorno per avere poi un peggioramento all’ottavo mese di utilizzo. Nonostante il rafforzamento della terapia portando il Tofacitinib a 15 mg al giorno e aggiungendo altre terapie, arrivato al decimo mese, il paziente ha abbandonato le cure sfiduciato da ulteriori peggioramenti, perdendo in seguito buona parte del recupero avuto nei primi mesi di utilizzo.
Un’alopecia areata totale trattata con un inibitore della JAK3, mostra una grande ricrescita, ma anche la coesistenza di alopecia androgenetica (calvizie comune). Forse la calvizie comune non potrà essere curata con questi farmaci.
Questo caso mette in evidenza che gli inibitori della JAK3 potrebbero dare in alcuni casi risultati solo momentanei e che comunque sospendendo la cura si dovrebbero perdere dopo un certo periodo di tempo i risultati raggiunti.
L’altro studio pubblicato di recente è un test clinico effettuato dal celebre tricologo australiano Rodney Sinclair su 16 pazienti affetti da alopecia universale trattati topicamente con soluzioni di Tofacitinib al 2%, di Ruxolitinib all’1%, di clobetasolo dipropionato allo 0,05% e col solo veicolante come placebo.
Sono state trattate in doppio cieco con queste sostanze aree diverse dello scalpo dei pazienti per 28 settimane (7 mesi) e alla fine del test si è riscontrata ricrescita parziale sulle aree trattate con Tofacitinib in sei pazienti, su quelle trattate con  Ruxolitinib in cinque pazienti e su quelle trattate con clobetasolo dipropionato – che è l’attivo suato per comparare l’efficacia dei due inibitori JAK3 – in dieci pazienti, mentre nessuna ricrescita è stata riscontrata col veicolante usato come placebo.
In un paziente si è avuta ricrescita generalizzata e completa su scalpo e sopracciglia dopo sei mesi di cura, ma con ricaduta dopo tre mesi, mentre un altro paziente ha pure avuto ricrescita completa sullo scalpo e in parte sulle sopracciglia e al controllo dopo 3 mesi e mezzo aveva mantenuto ancora i capelli recuperati con la cura.
Interessante è anche notare i risultati del clobetasolo dipropionato topico perché si tratta comunque di uno degli attivi più usati oggi – quindi ampiamente disponibile – per combattere le varie forme di alopecia areata.
Anche questo studio ribadisce quella che è praticamente una regola in medicina, ossia che le migliori cure sono efficaci sulla maggior parte dei pazienti, ma non su tutti e che comunque anche l’efficacia varia da soggetto a soggetto. Inoltre molto difficilmente le cure possono essere definitive, ma di solito devono essere continuate nel tempo o comunque ripetute a distanza di tempo.
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