La ricerca di terapie per la ‘ricrescita dei capelli’ data dall’inizio della storia umana.Dal cocktail di aculei di porcospino miscelato con grasso di leone ed altri mammiferi,rettili ed uccelli citato nel papiro egizio di Ebert (1500 A.C.) ai vari escrementi citati da Plinio il Vecchio ed infine al latte di pipistrello (fine anni 80 del secolo scorso), l’umanità ha strofinato il suo cuoio capelluto ed ingurgitato a naso più o meno chiuso ogni sorta di preparazioni, formulate più su base magica che salvo qualche eccezione- sulla base di osservazioni che potremmo definire empiriche più che scientifiche.
La fisiologia stessa del pelo è rimasta un mistero fino a tempi relativamente recenti.
Dal preconcetto ‘idraulico-botanico’ che la forza vitale del pelo fosse fornita dalla sua irrorazione, per cui si è fatto ogni tentativo per aumentare l’apporto sanguigno al follicolo, si è passati alla recente constatazione che è il pelo stesso che -in base alle sue esigenze- guida la danza del suo apparato vascolare. Tutto questo vanifica quasi completamente tutte le proposte terapeutiche a base delle classiche sostanze rubefacenti e vasodilatatrici.
Il ?quasi? si riferisce al fatto che ?ad esempio- qualsiasi soluzione alcolica è in grado probabilmente di incrementare la ricrescita dei capelli, grazie probabilmente all’azione sul VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) prodotto dai cheratinociti pilari.
Dagli anni 80 in poi numerosi prodotti hanno cercato di dimostrare la loro efficacia attraverso ‘sperimentazioni’ su casistiche più o meno meno omogenee di pazienti,attraverso metodiche più o meno validate e standardizzate (Pull Test,Tricogramma, diametro e densità pilare’).
Tenendo presente che l’esistenza di un’Alopecia Androgenetica femminile è stata identificata solo nel 1977 dal prof. Ludwig e che ancora in tempi attuali qualcuno parla di una non ben identificabile Alopecia Diffusa femminile, si può capire il grado di approsimazione e confusione cui potevano portare certi risultati.
Aggiungiamo che fino a tempi recenti si negava la realtà nella specie umana degli effluvi stagionali e che quindi ogni risultato poteva essere positivo se la ‘sperimentazione’ iniziava (come quasi sempre avveniva, per la facilità a reperire volontari) nel periodo di massimo defluvium (autunnale), concludendosi nel periodo di massima (spontanea) ricopertura all’inizio della primavera.
La mancanza poi di un trattamento comparativo con placebo nello stesso periodo rendeva del tutto inaffidabili i risultati di questi studi, di cui,ancora oggi, capita purtroppo di vedere nuovi epigoni. La prima sperimentazione con un cosmetico ‘neotricogenetico’ contro placebo, di durata congrua e con metodiche obiettive (Tricogramma, misurazione del diametro pilare) risale all’83 con i risultai abbastanza favorevoli della lozione Interbiol, a base di tensioattivi di origine animali e Ginko Biloba in casi di Alopecia Androgenetica (III-IV grado di H-N). La compliance del prodotto, per la sua untuosità, risultava però piuttosto bassa e per questo fu in seguito messo fuori produzione. Successivamente anche la lozione Kevis fu studiata in maniera analoga, dimostrando una lieve superiorità rispetto al Placebo.
L’inaspettata capacità del Placebo topico di incrementare la conta totale dei capelli ha avuto la sua più documentata dimostrazione con la sperimentazione del Minoxidil a metà degli anni 80. La nostra rivalutazione critica dei risultati di quella sperimentazione ha dimostrato però che il Placebo era in grado di aumentare la conta totale di capelli, ma non di quelli Terminali, e cioè quelli più importanti nel determinare validi risultati estetici e meno sensibili al defluvium stagionale.
Il fatto che il Placebo orale non abbia determinato lo stesso tipo di risultati nella sperimentazione contro Finasteride dimostra che una lozione alcolica topica è da considerare in effetti principio attivo terapeutico, piuttosto che trattamento inerte. Il dato che all’epoca della sperimentazione del Regaine il Placebo di Bari desse migliori risultati che a Catania è da ricollegarsi probabilmente al fatto che i miei pazienti pugliesi erano mediamente in migliori condizioni di partenza rispetto a quelli dello sperimentatore (calvo) catanese, piuttosto che all’effetto suggestivo della capigliatura del medico prescittore.
Ciò quindi dimostrerebbe che l’intervento precoce sulle forme meno avanzate di calvizie permette anche a prodotti poco attivi (ed anche poco costosi?) di ottenere qualche risultato quantitativamente verificabile.