La «storia» dell’alopecia areata; storia profondamente legata a quella della medicina e in particolare al nascere della dermatologia quale arte coltivata da medici e non (già da allora!), nel tentativo di carpire, intuire, attraverso gli sfoghi della pelle, le tribolazioni degli umori interni di ciascun individuo.
Medici, addirittura specializzati in «malattie della testa» (indicati dai Greci come iatroi kefalés) sono segnalati già nell’antico Egitto.
A Tebe sono stati scoperti papiri medici risalenti al 1550 a.C. nei quali vengono descritte malattie della pelle identificabili con sufficiente attendibilità e fra queste si descrive già l’alopecia areata.
Il primo ad adoperare il termine «alopecia» fu il grande Ippocrate, nato a Coo intorno al 450 a.C. A lui, peraltro, si deve gran parte della terminologia dermatologica tuttora adottata (ectima, lichen, psoriasi, esantemi, ecc…).
Conoscitore dell’opera di Ippocrate, e suo degno successore, fu Aulo Cornelio Celso, che prestava la sua opera di medico a Roma negli anni a cavallo della nascita di Cristo.
Celso fu autore di un trattato, il «De Re Medica», di capitale importanza per la medicina in generale e per la dermatologia in particolare, nei cui libri IV e V viene descritta l’alopecia areata, nella varietà ofiasica, e viene già distinta dal defluvio. Seguì una battuta d’arresto poiché la medicina del Medio Evo non conobbe l’opera di Celso.
Bisogna arrivare al Rinascimento per ritrovare le tracce dell’alopecia areata o area di Celso, come veniva chiamata all’epoca. Fu Nicolò V, Papa dal 1471 al 1484, a riscoprire e divulgare il «De Re Medica». In quegli anni un famoso dermatologo di Ferrara, tale Giovanni Mainardi, cultore in special modo delle malattie del cuoio capelluto, tenne a sottolineare la differenza tra l’area celsi, vera malattia, e l’alopecia «volgare» (la nostra alopecia androgenetica) nella quale i capelli cadono, scrisse il Mainardi, probabilmente per scarsità di «umori».
A metà del 1600 nasce il microscopio e Marcello Malpighi fu il primo a studiare la pelle con questo nuovo strumento. Negli anni successivi egli e altri cercarono di carpire il segreto delle malattie dermatologiche analizzando capelli, squame, forfore. Nel 1840 si verifica in Francia una epidemia scolastica di perdita di capelli a chiazze.
La malattia venne descritta dal dermatologo Cazenave che la chiamò: «herpes tonsurans capilliti».
Fu David Gruby, ungherese, di stanza a Parigi e fanatico microscopista, a descrivere le spore di un fungo (il microsporum) in questa particolare forma di alopecia.
Si trattava di una epidemia di tigna microsporica (cioè di un infezione provocata da un fungo, il microsporum appunto, che si manifesta con perdita di capelli a grandi chiazze circolari), ancora sconosciuta in Europa e verosimilmente importata dalle colonie francesi del sud-est asiatico dove la malattia era endemica (cioè presente e conosciuta da tempo) dai figli degli amministratori e dei diplomatici.
Cosa c’entra l’alopecia areata in tutto ciò? Nel descrivere il fungo, il Gruby, con una frase infelice, collegò l’epidemia di herpes tonsurans con «una certa varietà decalvante detta area di Celso».
Ancora nei primi anni del 1800 l’alopecia areata stenta ad avere una ben precisa collocazione.
Nel «Trattato compiuto delle malattie della pelle», scritto dal Barone Alibert – allora medico in capo del parigino ospedale di San Luigi – e tradotto in italiano nel 1835, si fa cenno all’alopecia areata nel capitolo delle dermatosi tignose, cioè: «di quelle eruzioni aventi per special sede il derma capelluto» con riferimento alle porrigini, cioè alle infiammazioni del cuoio capelluto con o senza perdita di capelli.
La varietà con perdita di capelli prende il nome di porrigo tonsoria o decalvante. Nel descrivere questa forma, l’autore crea una certa confusione poiché da un lato sottolinea la presenza di numerosi casi negli ospizi e in molti collegi di Parigi (la famosa epidemia di tigna microsporica) e aggiunge che forse Celso abbia voluto comprendere queste (le porrigini tonsorie) in un genere da esso creato col nome di area.
Dall’altra lo stesso Alibert, nel descrivere l’area celsi, paragona il cuoio capelluto dei pazienti a terreni sterili simili alle lande (pianura prevalentemente sabbiosa con scarsa vegetazione) dove non può crescere nulla, conseguenza di qualche malattia linfatica o l’effetto di una certa nutrizione anormale.
E’ necessario sottolineare, d’altro canto, che, a quell’epoca, la spinta all’osservazione microscopica porta tutti a trovare, a torto o a ragione, funghi dappertutto e non solo nell’alopecia areata.
Il fungo considerato causa, a torto, dell’alopecia areata non è altro che il Pityrosporon, agente causale della pitiriasi versicolor.
Ma affinché si chiarisca tutto ciò è necessario arrivare ai primi anni del 1900.
Il fatto di aver dimostrato in modo inequivocabile la natura non infettiva della malattia non apporta certo elementi di chiarimento.
In tutti i trattati di dermatologia degli anni 40 e 50 si fa riferimento, in tema di patogenesi, ad un ipotetico spasmo (restringimento) dei vasi sanguigni nelle zone colpite dalla perdita dei capelli, associato a fattori generali quali disfunzioni della tiroide o dell’ipofisi o delle ghiandole genitali o del timo.
Secondo un illustre dermatologo dell’epoca, un buon numero di casi, specialmente quelli più gravi, potevano essere la risultante di una pregressa sifilide congenita.
Negli anni 60, le conoscenze in campo immunologico ci offrono una nuova e più circostanziata chiave di lettura di tante malattie, alopecia areata compresa, ma questa è un’altra storia.