I progestativi di sintesi, utilizzati da soli per via generale, trovano indicazione nei defluvi femminili da carenza progestrinica, da anovulazione e tipicamente nel defluvio del periodo pre-menopausale della donna che sopraggiunge 4-5 anni prima della menopausa. Tale periodo è caratterizzato da cicli anovulatori con mestrui irregolari (caratteristiche l’oligomenorrea, la spanomenorrea, e le metrorragie) e coincide a deficit progestinico con conservata (se pur ridotta) produzione estrogenica. Il deficit progestinico comporta da un lato un aumento di attività degli androgeni ovarici (per ridotta competizione periferica) e dall’altro incremento della secrezione ipofisaria di LH e della secrezione di androstenedione da parte dello stroma ovarico. Posta la diagnosi di anovulazione o di carenza progestinica somministreremo quindi retroprogesterone o medrogestone o medrossiprogesterone (derivato del 17 idrossiprogesterone, metabolita intraghiandolare fisiologico del progesterone) alla dose di 5-10-20 mg dal 14°-16° al 25° giorno del ciclo.
Si otterrà così una riduzione della produzione androgena gonadica, un effetto di inibizione sul metabolismo periferico del testosterone ed un ripristino della regolarità del mestruo. Dovrebbe essere comunque evitato l’uso di progestinici derivati dal 19 nortestosterone (nor-androstani) che possono avere azione androgena diretta.
Al di fuori del caso della carenza progestinica e del periodo della pre-menopausa i progestativi sono generalmente somministrati insieme agli estrogeni, sotto forma di estro-progestinici “la pillola antifecondativa” (la prima in Italia fu l’ENOVID) che nelle prime versioni ad alto dosaggio di estrogeno (di solito l’etinilestradiolo) da 0,075 a O,1 mg, allora sempre associato ad un progestinico non androgenizzante (di norma il noretinodrel, il clormadione, il medrossiprogesterone) davano buoni risultati sull’androgenismo cutaneo con riduzione della caduta dei capelli, miglioramento della seborrea e dell’acne.
Successivamente, per il timore di teoriche complicanze tromboemboliche, si è assistito ad una ricerca di dosaggi steroidei sempre più bassi e si è preferito non superare il dosaggio di 0,05 mg di etinilestradiolo accoppiando l’estrogeno ad un progestativo nor-androstanico (come il noretisterone, il norgestrel, il levonorgestrel, il desogestrel, il gestodene etc.) derivato dal 19 nor-testosterone, ad emivita più lunga e quindi utilizzabile a dosaggio più basso e con maggiore sicurezza contraccettiva ma con effetti decisamente androgenizzanti. Si sono così ottenuti anticoncezionali orali più sicuri, facilitando la contraccezione, ma anche capaci di aggravare o creare un androgenismo cutaneo con defluvio, ipertricosi ed acne “da pillola”. L’attività androgena dei progestinici di sintesi utilizzati per la contraccezione orale è assai variabile da composto a composto: trascurabile per i derivati dei metaboliti fisiologici del progesterone, è invece assai accentuata per i progestinici più potenti ed ad emivita lunga, caratterizzati da 19 o 20 atomi di carbonio e derivati dal testosterone (nor-androstani). Ricordiamo che il progesterone naturale è caratterizzato da una struttura tetraciclica a 21 atomi di carbonio.
Gli effetti androgeni dei progestinici possono essere attribuiti a due diversi meccanismi:
1) fissazione diretta sui recettori degli androgeni;
2) fissazione sulla SHBG: il testosterone legato alla SHBG viene spiazzato dal progestinico con conseguente aumento della sua quota libera.
Per semplice informazione riferiamo che nelle “pillole contraccettive” possono essere presenti sia ciproterone acetato che derivati del 17 idrossiprogesterone, peraltro attualmente non più in commercio (noretinodrel, clormadione, medrossiprogesterone), ad attività antiandrogena, sia derivati del 19 nortestosterone (noretisterone, norgestrel, levonorgestrel, desogestrel, gestodene…) che, pur ottimi come contraccettivi data la buona tollerabilità , esplicano attività decisamente androgenizzante con possibile aggravamento del defluvio, dell’acne e dell’ipertricosi; il non frequente riscontro di questi effetti (in soggetti predisposti) è, probabilmente, dovuto alla costante contemporanea presenza, nella “pillola”, degli estrogeni, che, come si è visto, esplicano un’azione positiva a livello del follicolo pilifero bilanciando quella dannosa degli altri derivati.