Thecù e altri attenti al genere sopraffino dell'aor,qui ci troviamo di fronte ad un MUST assoluto,prendo spunto da questa recensione tratta da un mio amico,prendete nota dei nomi che ci suonano e fate un SEARCH su emule,eheheh
OCCHIOOOOO
MARC JORDAN - A HOLE IN THE WALL (1983) FOREVER YOUNG
È possibile che il suono levigato e tecnologicamente perfetto di questo disco abbia lasciato un po’ di amaro in bocca a chi aveva scoperto Marc Jordan attraverso l’inedita e schietta atmosfera di Mannequin. In ogni caso, col senno di poi, e di fronte a dieci canzoni di questo livello, anche i soliti incontentabili considerano ormai A Hole In The Wall meritevole di figurare accanto a The Nightfly di Donald Fagen o Angel Heart di Jimmy Webb: cosa sarebbero stati gli anni Ottanta senza queste ancore di salvezza, senza questi preziosi attimi di sollievo rispetto all’orrore imperante? Lasciato in braghe di tela dalla Warner, Marc inizia un umiliante pellegrinaggio da un’etichetta all’altra (tragica esperienza condivisa da molti grandi protagonisti dell’A.O.R.) e dopo un ottimo live pubblicato dalla RCA giapponese (Secrets / Live At El Mocambo) approda provvisoriamente alla nipponica Sound Design. I saggi produttori del Sol Levante sanno di avere di fronte un artista vero e gli danno carta bianca. Tanto per cominciare, Jordan fa sedere dietro i tamburi lo specialista Mike Baird, a cui affianca alcuni 'mostri' di studio californiani, primi fra tutti Richard Page e Steve George ai cori. La chitarra di Steve Lukather introduce e domina Slipping Away, scritta insieme a Steve Kipner, cronaca di una fine imminente (la solita ‘lei’ insofferente che se ne vuole andare). Margarita vi farà innamorare al primo ascolto: l’ingenua messicana a cui ‘strangers and lovers’ hanno spezzato il cuore è protagonista di una storia resa memorabile dal raffinato chorus affidato ai Pages, dal sax di Ernie Watts e da un romantico Marc Jordan che tenta a tutti i costi di consolare la ragazza: “... nobody knows you / they just call out a name / nobody loves you / they think that love's a game / but I know you / you broke my heart / it's just bad luck that keeps us apart ...”. L’indomito temperamento rock di Marc emerge con prepotenza su A Hole In The Wall, in cui il ritmo scandito dal piano elettrico e i lancinanti inserimenti della chitarra disegnano un'atmosfera che asseconda benissimo la carica drammatica di questa title-track. Intitolare un nuovo brano It’s Only Love, come il classico di John Lennon (su Help!) è un’imprudenza che farebbe tremare i polsi a chiunque. Marc Jordan è caduto in piedi grazie al fascino di una tenera ballad composta insieme a David Foster. Where Did We Go Wrong e Love Like A Wheel sono due ghiottonerie pop-rock, impreziosite dagli arrangiamenti fiatistici dell’artigiano Jerry Hey (la seconda firmata da Jordan con Ali Thomson, fratello del bassista dei Supertramp, Dougie). Dance With Me, un lento impeccabile, ripropone l’ossessivo invito a ballare che aveva caratterizzato Mannequin, mentre la stupenda e misteriosa Thieves contiene alcuni incomprensibili accenni al muro di Berlino di cui, in fondo, non ci importa molto. Un album così doveva chiudersi in modo speciale, ed ecco l’immancabile tocco di classe: una bruciante, fulminea canzone che tanto potrebbe insegnare a chi è ancora convinto che il “vero” rock debba essere per forza rozzo. Ritmicamente caratterizzata dalle tipiche frasi spezzate di Jay Graydon, Hold On vola via in appena tre minuti, e si consuma rapidamente passando dalle strofe cantate da Marc fino al melodico assolo di Jay, che lancia il coro finale dei Pages. Degna conclusione di un’opera d’arte popolare contemporanea.
Marc jordan N°1