Dunque, in contesti medicalizzanti (dove cioe' si è istaurata la convinzione che solo un medico puo' risolvere con un farmaco un determinato problema) la figura dello psicologo viene vista con scetticismo e menefreghismo, proprio perchè non interviene sul sintomo (calvizie) ma sul modo di percepire tale malattia (la causa).
Il modo di percepire la malattia è la causa semplicemente perche' la calvizie comune è un fenomeno para-fisiologico comune, che coinvolge la maggior parte degli uomini senza limitazioni o gravi conseguenze dal punto di vista fisico. E' evidente che cio' che conta non è il danno estetico in quanto tale, ma il danno psichico inflitto al malcapitato, che tenderà a vedere la calvizie come una grave deturpazione spesso limitante a livello sociale e relazionale.
L'OMS (organizzazione mondiale della sanità) ha tracciato delle linee ben precise per quanto riguarda il benessere del paziente: esso non deve piu' essere inteso solo come benessere fisiologico (cura della malattie organiche) ma anche come benessere psicologico, essendo le patologie psichiche spesso piu' gravi di quelle fisiche.
Da questo punto di vista, curare la calvizie è un fattore fondamentale, e l'ausilio del dermatologo è notevolmente importante (anche per dare un maggior peso alla questione).
Spesso pero', come ha sottolineato implicitamente anche claudia (un po' come i dermatologi insomma!) chi si rivolge ad un medico per problemi di capelli è già psichicamente provato e fragile, e la figura del dermatologo diviene spesso sostitutiva a quella dello psicologo .
Di fronte all'ineluttabilità del destino genetico, il paziente appare affranto, disperato, fragile. Tende a chiudersi socialmente, prediligendo le ore notturne per le uscite. Cio' che latentemente ricerca non è un dermatologo che prescriva una determianta cura (che, secondo il consenso informato, legge sanitaria severissima introdotta nel 2006, dovrebbe essere ben delinenata come palliativo e non come cura definitiva essendo l'aga incurabile per definizione), ma una figura professionale che prenda in carico il proprio problema.
Ora, la differenza sostanziale per la quale è IMPOSSIBILE che il dermatologo diventi anche psicologo, risiede nel fatto che il primo perenderà in carico il paziente prescirevendogli palliativi, che non risolvono il problema (spesso viene addirittura ed inconsapevolmente rafforzato il sintomo) mentre il secondo è in grado, in linea di massima, di aiutare il paziente a cambiare la prospettiva nei confronti del disagio estetico in maniera del tutto autonoma(e il paziente stesso che si rende conto di tali problematiche).
Vi faccio un rapido esempio di cambio di prospettiva. Provate a leggere questo:
http://www.focus.it/Community/cs/blogs/il_blog_di_amelia_beltramini/archive/2006/08/04/126455.aspx
E' un articolo di focus, dove viene sottolineato l'ausilio che nel nuovo millenio viene fatto (ed anche l'abuso, per certi versi) dei farmaci lifestyling (che cambiano cioe' lo stile di vita e non curano forme cliniche, ossia delle vere malattie ). Fra questi farmaci, naturlamente, v'e' anche la finasteride adoperata per la ricrescita dei capelli.
Leggendo questo articolo ci si rende presto conto che farmaci che non curano malattie cliniche (che conducono alla morte o a gravi limitazioni) ma solo vezzi estetici, sono ampiamente adoperati con abili artifici pubblicitari a tutto vantaggio delle compagnie farmaceutiche (si calcola che il business si aggiri intorni ai 29 miliardi di dollari).
Questi farmaci rafforzano il sintomo, nel senso che rallentano la progressione verso l'accettazione del proprio problema proprio perche' lo migliorano temporaneamente, ma non risolvono il disagio alla base delle motivazioni che conducono all'intrapresa di un percorso farmacologico.
Possono pero' essere utili nelle fasi iniziali, ossia quando il problema diventa insostenibile (grossi effluvi, afflizioni), ma l'obiettivo finale dovrebbe essere il raggiungimento di un equilibrio privo di farmaci nei confronti della situazione.
Le figure del dermatologo /psicologo non devono quindi entrare in contrasto, ma lavorare in un'ottica interdisciplinare per migliorare il benessere psico/fisico descritto dall'OMS in precedenza.
Purtroppo viviamo in contesti sanitari poco evoluti, dove le due figure tendono a sovrapporsi e sostituirsi a vicenda, ma in linea di massima sono convinto che è possibile uscire dal tunnel calvizie con l'ausilio di entrambi i professionisti.
E' altresi' importante ricordare che:
1)curare la calvizie è importante ma laddove diventi un problema limitante sarebbe davvero utile rivolgersi allo psicologo per i cambi di prospettiva (per questi motivi molti medici hanno nel proprio studio anche lo psicologo).
2)che il percorso psicoterapico, se intrapreso, non sia mai coercitivo, ma sempre spontaneo
3)che la scelta del professionista non dipenda dal paziente che ha scarse e nulle conoscenze sulle abilità psicologiche, ma che venga indirizzato dal medico curante (spesso anche di famiglia) che suggerira', sotto prescrizione, un ciclo di 8 colloqui psicologici da svolgere nei policlinici universitari o nelle asl di appartenenza.
4)che tali colloqui servano da orientamento per individuare la natura del disagio e poter successivamente suggerire il professionista piu' adatto alle proprie esigenze (psichiatra, psicoanalista, psicodinamico, sistemi-relazionale,ecc).
5)che lo psicologo non succhia soldi, ma spesso il percorso è anche gratuito.
Leggo spesso di problemi psicologici molto gravi che riguardano la calvizie. Spero quindi di essere stato utile a qualcuno.
Ciao