Citazione
er la quale esistono tante patologie quante sono le nostre sofferenze endogene e per la quale i due termini diventano addirittura omologhi. Ora se facciamo equivalere ogni sofferenza (pur endogena) ad una patologia e come tale la rendiamo soggetta a terapie certo immagino esogene, cosa facciamo di diverso dal creare quel modello di società malata di cui anche tu parli, dove la responsabilità del singolo di fronte ai propri limiti caratteriali e psichici viene alienata in quanto tale e poi annullata sull'altare di questa estetizzazione patogenica della sofferenza individuale (quale che sia purchè endogena) che tu proponi?
Questo è un gioco retorico del tutto gratuito, una fallacia logica, una distorsione. Non ho mai preteso sostenere che la sofferenza in sé è patologia, ma è innegabile che la patologia si accompagna sempre alla sofferenza.
Soffrire di rimorso per aver perduto un’occasione, o soffrire di senso di colpa per aver recato gravi danni morali e fisici a terzi non sono necessariamente condizioni patologiche.
Qui non si parla di de-responsabilizzazione della sofferenza, come se questa sia una cosa da espungere totalmente dalla vita.
Ma la società, malata o meno, e di cui non parlo affatto, (dato che sarei andato abbondantemente off topic) non si guasta certo perché la scienza promuove la qualità della vita, migliorando la salute: la sofferenza in sé non è un valore da ricercare.
La ragione, parafrasando Whitehead ha la funzione di promuovere l’arte del vivere. In vista di questo fine la ragione agisce in base a un triplice impulso 1) vivere, 2) vivere bene 3) vivere meglio. Curare l’alopecia significa vivere meglio? Per alcuni si. Tanto basta.
Ci sono naturalmente sofferenze curabili secondo la pratica medica, e sofferenze non risolvibili se non attraverso la maturazione, la crescita interiore degli individui, che esulano dalla medicina: sofferenze per l'appunto non patologiche. Oggi non esiste una vera e propria cura definitiva per l’alopecia androgenetica, ma la possibilità di questa comincia a profilarsi, checche ne dica Ivo o i critici del Disease Mongering, la possibilità di una cura, di un intervento non è in sé affatto immorale.
Credere che perdere i capelli sia fisiologico e quindi non sidebba interventire significa pensare in termini ideologici e intolleranti. Restano peraltro tutte le altre obiezioni del precedente post cui non è stato replicato.
Citazione:Ritorna qui il tema della società non meglio specificata, cosa sia, cosa (chi) rappresenti, in quali casi (se) sia opportuno definirla come un corpo semovente e quindi da noi avulso.Banalmente, la società, gli altri, siamo (anche) noi. Dunque chi valorizza negativamente il connotato alopecia senza il nostro contributo?Dopodichè andiamo a vedere ancora una volta chi fisicamente davvero tale paradigma propone:i media, i pubblicitari, il cinema, lo spettacolo, certa medicina estetica.
Non si invochi per favore il concetto/blob di società mediatica, che pure ha una sua valenza, ma come lettura di un fenomeno, non certo della sua assunzione come dogma inscalfibile o come totem invincibile.
Perchè si torna lì, c'è sempre quella variabile che si chiama libertà del singolo e che spesso viene dimenticata, sminuita, vilipesa, per comodo da alcuni, per comodità da altri.
Sembra quasi che mi si accusi di non specificare che cosa sia la società come se dare una tale definizione sia qualcosa di pacifico: non lo è affatto e non ci si può impedire di usare certe nozioni primitive (certo non mi posso accontentare di una definizione del tipo: “la società siamo anche noi”). Inutile e impossibile provare a definire in poche righe il concetto di società. Per averne un’idea bisognerebbe probabilmente scartabellare vari passi di una interminabile serie di libri, partendo dalla Politica di Platone. La società siamo anche noi, ma questo è vero e non vero: la società è anteriore all’individuo, come il linguaggio, le conoscenze e le pratiche attraverso cui questi viene socializzato e la società è anche più grande di lui e più potente di lui (è più probabile che la società ci condizioni o il contrario?). Non si dovrebbero inoltre assumere mai nozioni prese isolatamente: la società richiama altre nozioni come la cultura, il diritto, l’istruzione, il lavoro, il commercio, le relazioni pubbliche e private.
Fai bene a rivendicare il libero arbitrio (qualunque cosa esso significhi non mi stancherò di credere nella sua esistenza, ma più per un atto di fede che per cogitazione-dimostrazione, in cui peraltro hanno fallito menti meglio dotate della mia) ma non è che la sofferenza per l’alopecia sia dovuta unicamente a un fenomeno di opinione pubblica, di ideologia, e che quindi la cura dell’alopecia risponda a un falso bisogno (bisogno di mostrare una chioma sana) per fini puramente commerciali, una manipolazione pubblicitaria, mediatica o ideologica. (Disease mongering) Che la calvizie sia qualcosa di fortemente indesiderabile sarà anche un epifenomeno secondario di marketing/merchandising dove la valorizzazione della giovinezza e della salute divengono più che un fatto medico un fatto di mercato. Ma è qualcosa che si installa su una assiologia che, devo ripetermi, non è storicamente né socialmente determinata, e che non mi sento di accostare più di tanto al narcisismo. Sono secoli che l’uomo cerca di curarsi i capelli, di acconciarli, renderli esteticamente gradevoli, di camuffare la mancanza di capelli con particolari pettinature, con parrucche ecc.. Sono cioè secoli che i capelli sono un attributo corporale fortemente investito di valore simbolico. (i capelli lasciati crescere come segno di voto nelle varie culture, i capelli nascosti sotto il velo come zona da nascondere perché sede di nudità non esibibile in pubblico ecc... )
La preoccupazione per la loro perdita dunque non è un evento psicologico monadico, unico, inanalizzabile e circoscritto nell’individuo, ma nomade disperso nelle varie culture nel tempo e nello spazio, rinvenibile quindi, in termini strutturali come avrebbe detto Levi Strauss, come una preoccupazione estetica universale o quasi.(ricorda in qualche modo la paura della castrazione freudiana)
Citazione
erchè i medici (alcuni) non curano o non si occupano solo di patologie e non hanno bisogno (piaccia o meno) di trovare la loro coerenza deontologica nella definizione oltre ogni possibile dubbio delle medesime.Rinoplastica e mastoplastica ad esempio costituiscono fonti di reddito ben al di là della loro valenza risolutiva nel quadro clinico del paziente.
Allora questi medici che non si preoccupano di deontologia nella definizione di che cosa è patologia e di cosa non è e che parimenti non si fanno scrupoli a lucrare soldi dalle tasche di individui che non considereano malati non vengano a farci anche la morale, poiché non sono loro stessi un esempio di morale.