SIAMO PROPRIO IL PAESE DEI CAMPANELLI... C'E' DA MERAVIGLIARSI CHE OGNI GIORNO APRIAMO LA FINESTRA E LA NOSTRA NAZIONE C'E' ANCORA...
Stipendi tre volte inferiori rispetto all’estero, alti costi di formazione, titoli non riconosciuti ai fini dei concorsi pubblici. Lo “spreco” italiano dei cervelli e le difficoltà nei rapporti col mondo del lavoro. Intervista a Alessandro Fraleoni Morgera, presidente dell’Adi, associazione dei dottori e dottorandi di ricerca. [X][X][X]
C’è una figura che si aggira come un fantasma all’interno delle università e del mercato del lavoro d'Italia. E' il dottore di ricerca. Quanti saprebbero dare un’esatta definizione del suo status? Le persone, se interpellate, di solito rispondono in modi molto diversi: è uno studente, no, è già un lavoratore, meglio, è un assistente dei professori universitari. “L’unica cosa certa - dice Alessandro Fraleoni Morgera, presidente dell’Adi, l’Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani - è che il nostro ruolo non è riconosciuto dalla normativa italiana. La legge sul dottorato di ricerca è del 1980, ma da allora non è mai stata aggiornata, e le varie amministrazioni non hanno mai recepito quei decreti che avrebbero potuto riconoscere il dottorato come terzo livello di istruzione universitaria in Italia. Ancora oggi noi stessi abbiamo delle difficoltà a definirci”.
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L’Adi, che si riunirà nella sua assemblea generale il 14 e 15 aprile a Bologna, si batte da dieci anni per la promozione e la valorizzazione del dottorato di ricerca nel contesto sociale e politico: “In tutto il mondo i dottori di ricerca formano il quadro dirigenziale delle aziende - continua Fraleoni Morgera - in Italia invece non è così per diversi motivi, prevalentemente di cultura e tradizione. Il problema del calo di iscrizioni universitarie nasce anche da qui: i giovani non vedono un futuro nel campo della ricerca. Basta pensare ai compensi. All’estero un ricercatore guadagna circa 3.000 euro al mese, in Italia, se va bene, 1.000-1.200: tre volte di meno. Chi ha il coraggio di investire sulla propria formazione, con queste prospettive?”.
[sp]
“La questione – aggiunge Franca Moroni, coordinatrice delle politiche per il pubblico impiego dell’Adi - è che nel nostro Paese non c’è un vero riconoscimento di questa figura professionale: ancora oggi, è difficile trovare dei concorsi in cui il titolo di dottore di ricerca consenta degli innalzamenti di punteggio. E nelle pubbliche amministrazioni la
Stipendi tre volte inferiori rispetto all’estero, alti costi di formazione, titoli non riconosciuti ai fini dei concorsi pubblici. Lo “spreco” italiano dei cervelli e le difficoltà nei rapporti col mondo del lavoro. Intervista a Alessandro Fraleoni Morgera, presidente dell’Adi, associazione dei dottori e dottorandi di ricerca. [X][X][X]
C’è una figura che si aggira come un fantasma all’interno delle università e del mercato del lavoro d'Italia. E' il dottore di ricerca. Quanti saprebbero dare un’esatta definizione del suo status? Le persone, se interpellate, di solito rispondono in modi molto diversi: è uno studente, no, è già un lavoratore, meglio, è un assistente dei professori universitari. “L’unica cosa certa - dice Alessandro Fraleoni Morgera, presidente dell’Adi, l’Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani - è che il nostro ruolo non è riconosciuto dalla normativa italiana. La legge sul dottorato di ricerca è del 1980, ma da allora non è mai stata aggiornata, e le varie amministrazioni non hanno mai recepito quei decreti che avrebbero potuto riconoscere il dottorato come terzo livello di istruzione universitaria in Italia. Ancora oggi noi stessi abbiamo delle difficoltà a definirci”.
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L’Adi, che si riunirà nella sua assemblea generale il 14 e 15 aprile a Bologna, si batte da dieci anni per la promozione e la valorizzazione del dottorato di ricerca nel contesto sociale e politico: “In tutto il mondo i dottori di ricerca formano il quadro dirigenziale delle aziende - continua Fraleoni Morgera - in Italia invece non è così per diversi motivi, prevalentemente di cultura e tradizione. Il problema del calo di iscrizioni universitarie nasce anche da qui: i giovani non vedono un futuro nel campo della ricerca. Basta pensare ai compensi. All’estero un ricercatore guadagna circa 3.000 euro al mese, in Italia, se va bene, 1.000-1.200: tre volte di meno. Chi ha il coraggio di investire sulla propria formazione, con queste prospettive?”.
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“La questione – aggiunge Franca Moroni, coordinatrice delle politiche per il pubblico impiego dell’Adi - è che nel nostro Paese non c’è un vero riconoscimento di questa figura professionale: ancora oggi, è difficile trovare dei concorsi in cui il titolo di dottore di ricerca consenta degli innalzamenti di punteggio. E nelle pubbliche amministrazioni la