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La dignità e la compostezza della quale hanno dato prova i cittadini di Londra il tragico 7 luglio scorso, non è solo una straordinaria prova di maturità civile: è anche una precisa e chiara risposta politica alla sfida del terrorismo.
E’ un terrorismo diverso da quello che abbiamo conosciuto in Italia e in Europa negli anni ‘70 e ‘80. Allora il terrorismo sceglieva la sua vittima – un carabiniere, un agente di polizia, un giornalista, un sindacalista, un magistrato, un dirigente d’azienda – per il suo significato simbolico e puntando a isolarla dalla società.
Oggi il terrorismo ha un’altra strategia: puntare alla massima devastazione, alla più lacerante destabilizzazione, a mettere in ginocchio una comunità e la sua convivenza.
Non conta chi sia la vittima. Conta che siano, tante, tantissime e, soprattutto, persone “normali”, colpite nella loro quotidianità di vita. Come gli impiegati degli uffici delle Twin Towers; o gli operai che con il metrò di Madrid si recavano in fabbrica; o i turisti che, ignari della tragedia incombente, cercavano qualche giorno di svago in vacanza a Mombasa o Bali; o gli indifesi bambini di Beslan; o i cittadini inermi uccisi sui bus e nel metrò di Londra.
Ha detto tra le lacrime il sindaco di Londra, Ken Livingston: «Questo non è un attacco ai potenti, ai primi ministri e presidenti. Questo è un attentato a normali cittadini di Londra, lavoratori, donne e uomini, bianchi e neri, cristiani e musulmani, indù ed ebrei, giovani e vecchi».
Se, dunque, il terrorismo, come dice la parola stessa, vuole spargere terrore, diffondere la paura, alimentare l'insicurezza e provocare una risposta irrazionale, bisogna riuscire a fare l'esatto contrario: mantenere la calma e non smettere di ragionare.
E' quanto hanno saputo fare i londinesi, in questi giorni. Non ci cambierete, ha detto la Regina ai terroristi. Non vi lasceremo cambiare il nostro modo di vivere, ha detto Tony Blair. Non diventeremo come voi, come voi vorreste che diventassimo, hanno detto, con la loro perfino ostentata imperturbabilità, milioni di abitanti della metropoli più multicolore, multiculturale, multireligiosa del pianeta.
I cittadini di Londra ci trasmettono la consapevolezza che il terrorismo, con la sua terribile, casuale potenza devastatrice, che può mietere vittime ovunque e in qualsiasi momento, è un fatto endemico della nostra società, col quale dobbiamo attrezzarci a convivere a lungo e dolorosamente.
Ma attrezzarci a convivere, ci dicono gli inglesi, non significa rassegnarci a subirne passivamente l'iniziativa. Bisogna essere pronti a reagire nel modo giusto, sia nell'immediato, evitando il panico, sia nel tempo, assorbendo l'urto, metabolizzandolo, evitando reazioni divisive e intolleranti, che involontariamente ci porterebbero a collaborare col criminale disegno del terrorismo.
La prima risposta, quella immediata, è compito di una statualità efficiente e diffusa, che deve trasmettere ai cittadini la certezza che saranno tutelati e tutto si farà per ridurre il rischio a cui possono essere esposti.
Abbiamo apprezzato il tono misurato del discorso del Ministro Pisanu. Ci aspettiamo adesso che seguano misure coerenti, a partire dal prevedere nel DPEF e nella successiva Legga Finanziaria risorse adeguate, invertendo la tendenza di questi anni a ridurre gli stanziamenti per la sicurezza.
Si renda pienamente operativo tutto ciò che le leggi già prevedono. E se il Governo ritiene necessarie altre misure le porti in Parlamento: non troverà sordità o indifferenza perchè tutelare la incolumità e la serenità dei cittadini è obiettivo di comune condivisione.
E riconfermiamo anche da questa tribuna che l’opposizione è pronta a fare fino in fondo la propria parte, concorrendo con la sua responsabilità e con le sue proposte alla sicurezza del Paese.
La seconda risposta può venire solo da una società civile matura, coltivata ad un robusto senso civico, presidiata culturalmente, socialmente e politicamente. E questo è anche un compito nostro, è il compito di una grande e radicata forza politica, che ha il dovere, tanto più in una fase difficile e talvolta drammatica, di concorrere ad orientare, a presidiare, ad organizzare.
Naturalmente non è solo questione di reagire bene e compostamente. Bisogna anche prevenire. In primo luogo attraverso una vasta e costante azione di intelligence. L'attentato di Londra, in un paese che ha una leggendaria tradizione in questo campo, ci dice che neppure servizi tra i più efficienti del mondo sono in grado, da soli, di garantire una copertura piena e perfetta.
Molto può e deve essere fatto, in questo campo: a livello europeo e tra Europa e Stati Uniti, per coordinare di più e meglio i diversi servizi nazionali; e anche nel nostro paese, proseguendo in quel cammino di riforma, ammodernamento, riqualificazione dei nostri servizi, che ci ha regalato servitori dello Stato del calibro professionale e morale di Nicola Calipari, a cui va la nostra gratitudine e sulla cui morte chiediamo ancora una volta si faccia piena luce.
Insomma: servono più risorse, serve un coordinamento unitario dei diversi apparati, serve che gli uomini e le donne preposti alla nostra sicurezza – in primo luogo uomini dei servizi, forze dell’ordine e magistrati – non siano lasciati soli.
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Ma attrezzarci a convivere con questa endemica minaccia alla nostra società significa anche elaborare un giudizio morale condiviso, di ripudio fermo e deciso, della violenza terroristica.
Una violenza cieca, vile e barbara, che non ha nulla a che vedere col presunto scontro di civiltà: i terroristi non rappresentano né l'Islam, né il mondo arabo, ma ne sono piuttosto una scheggia impazzita, come in passato ci sono state schegge impazzite che hanno dato luogo al terrorismo nei paesi occidentali.
Guai a rappresentare l’Islam con il solo volto di Bin Laden.
Il mondo islamico sono anche le ragazze e i ragazzi della primavera di Beirut, sono le donne marocchine che hanno conquistato per sé un nuovo codice civile, sono gli otto milioni si iracheni che sono andati a votare sfidando l’intimidazione e il ricatto dei terroristi, sono quei religiosi islamici che in Qatar si sono incontrati con rappresentanti delle confessioni cristiane e ebraiche perchè anche dal dialogo interreligioso venga una parola chiara contro il terrorismo e la violenza. E d’altra parte abbiamo visto in Irak come la furia assassina colpisce nello stesso modo il giornalista occidentale come l’ambasciatore egiziano.
Così come non sono poche le città dei paesi mussulmani da Casablanca a Giakarta, da Jeddah a Istanbul, da Riad a Il Cairo – funestate dal terrorismo. Per non parlare di Baghdad dove quotidianamente il terrorismo miete vittime.
Proprio perché, come ci hanno insegnato i londinesi, non dobbiamo assecondare la strategia del terrorismo, dobbiamo riuscire a distinguere tra il terrorismo di matrice islamica da una parte e il mondo arabo-musulmano dall'altra: se una scheggia impazzita di quel mondo ci ha dichiarato guerra, non significa che quel mondo in quanto tale lo abbia fatto. Al contrario, il terrorismo colpisce proprio perché vorrebbe spingerci tutti, allo scontro totale tra civiltà, alla guerra tra fedeli e infedeli.
Ciò non significa che il terrorismo nasca dal nulla. Il terrorismo nasce sempre da una difficoltà politica, dalla quale trae alimento e nella quale cerca legittimazione. Il terrorismo di matrice islamista trae alimento e cerca legittimazione in quella che è stata definita la frustrazione del mondo arabo-musulmano, per il crescente divario, in termini di sviluppo umano, che lo separa dall'Occidente.
Con questa frustrazione dobbiamo fare i conti, in termini politici. Ma essa non può né giustificare, né legittimare il terrorismo: il quale ha come bersaglio non i torti dell'Occidente, ma le sue ragioni; non i nostri errori, ma i nostri valori.
Anzi, quanto più la globalizzazione abbatte