La responsabilità civile professionale
LA RESPONSABILITÀ DEL MEDICO.
Il primo e fondamentale obbligo del medico nei confronti del proprio paziente è quello di informarlo in modo chiaro ed esauriente sulla natura e sui rischi delle attività sia terapeutiche, sia diagnostiche cui il paziente sta per essere sottoposto.
Due sono i fondamenti giuridici dell'obbligo, per il medico, di informare il paziente: gli artt.13 e 32 comma della Costituzione. Infatti , ove il paziente non fosse informato sull'attività cui sta per essere sottoposto, si violerebbe da un lato il suo diritto alla autodeterminazione, e dall'altro il suo diritto a non essere sottoposto a trattamenti sanitari contro la sua volontà.
L'obbligo di informare il paziente ha raggiunto un ambito di applicazione amplissimo.
Fino a qualche anno fa si riteneva che l'obbligo di informare il paziente sussistesse solo nei casi in cui venissero poste in serio pericolo la vita o l'incolumità fisica del paziente.(1)
Oggi, invece, la giurisprudenza afferma espressamente che l'obbligo in questione sussiste non solo in relazione alla necessità di intraprendere interventi devastanti o complessi, ma sussiste in relazione ad ogni attività medica che possa comportare un qualche rischio.
Il fine dell'obbligo di informazione è infatti quello di mettere il paziente in condizioni di valutare serenamente e consapevolmente se sottoporsi o meno al trattamento, e tale fine non potrebbe essere utilmente perseguito se al paziente fosse sottaciuta una qualsivoglia circostanza rilevante in merito all'intervento(terapeuticon.d.r.).(2) In altri termini il paziente deve essere messo concretamente in condizione di valutare ogni rischio ed ogni alternativa.(...)
Il consenso, infine, deve essere continuato. Esso non può essere prestato una tantum all'inizio della cura, ma va richiesto e riformulato per ogni singolo atto terapeutico o diagnostico, il quale sia suscettibile di cagionare autonomi rischi.
Per essere efficace il consenso all'attività medica deve essere prestato da soggetto capace di intendere e di volere. Per il soggetto incapace, ovviamente il consenso dovrà essere prestato da chi ne ha la rappresentanza legale (il genitore od il tutore).
Il consenso inoltre per essere efficace deve essere immune dai vizi della volontà tipici di qualsiasi negozio giuridico: errore, dolo e violenza.
La prestazione del consenso non è soggetta ad alcuna forma particolare. Nel nostro ordinamento vige infatti il principio della libertà delle forme del negozio giuridico, con la conseguenza che le parti possono scegliere quella ritenuta più opportuna (ivi compresa la forma orale e la forma tacita, cioè il comportamento concludente).(4)
Naturalmente la forma scritta resta quella preferibile, in quanto facilità enormemente il problema della prova del consenso.
Nel caso in cui il medico ometta di informare adeguatamente il paziente sui rischi e sulle possibilità di successo dell'intervento che si appresta a compiere egli è responsabile nei confronti del paziente per l'ipotesi in cui dall'intervento derivino lesioni personali.
La mancata richiesta del consenso costituisce infatti autonoma fonte di responsabilità per il medico: non per avere male operato , ma per avere impedito al paziente di effettuare le proprie scelte.
(...)
In passato si tendeva ad inquadrare la responsabilità del medico all'interno della normativa prevista dall'art. 2236 c.c. in base al quale se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave.
La portata mitigatrice dell'art. 2236 c.c. non si estende ad ogni ipotesi di colpa professionale, ma solo alle ipotesi di colpa consistita nell'imperizia. Quando invece la cattiva riuscita della prestazione sia dovuta a imprudenza o negligenza, la limitazione di cui all'art. 2236 c.c. non opera ed il medico risponderà anche solo per colpa lieve.
Non sempre è agevole comprendere quando il medico abbia arrecato un danno al paziente con colpa lieve.
La dottrina, da tempo, ha messo in evidenza il carattere relativistico della nozione di colpa: in essa è implicito un venir meno, una manchevolezza, un deviare rispetto ad una regola prestabilità.
Questa regola può essere una norma giuridica o anche una norma di condotta, variabile in funzione delle circostanze di tempo, di luogo e di persona.
Oggi invece la dottrina tende a far rientrare la responsabilità del medico all'interno della responsabilità contrattuale e quindi alla normativa prevista dall'art. 1176 c.c..
Il medico nell'adempimento delle obbligazioni contrattuali inerenti alla propria attività professionale, è tenuto ad una diligenza che non è solo quella del buon padre di famiglia, come richiesto dall'art. 1176, 1° comma codice civile, ma è quella specifica del debitore qualificato, come indicato dal 2° comma dell'art. 1176, la quale comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica.
Quindi anche il medico, come qualsiasi altro professionista, si rende colposamente inadempiente all'obbligo assunto quando tiene una condotta imprudente, imperita, negligente, oppure non osserva leggi, regolamenti, ordini o discipline.
L'inclusione della responsabilità del medico nell' area della responsabilità contrattuale è particolarmente gravosa per il professionista.
Il medico sarà infatti ritenuto responsabile in tutti i casi in cui il paziente dimostri l'aggravamento delle proprie condizioni di salute; toccherà infatti allo stesso professionista dimostrare che il peggioramento delle condizioni del paziente non sia conseguenza del proprio operato.
Pertanto il medico autore di un danno è oggi chiamato a rispondere del proprio operato non soltanto dal paziente che si afferma danneggiato, ma anche da terzi che hanno risarcito il danno al paziente, ed agiscono in rivalsa nei confronti del medico.(...)
Per gli enti privati e le persone fisiche esercenti attività sanitaria, non esiste alcun obbligo di assicurare la responsabilità civile propria e dei propri dipendenti.
Il medico dipendente di una struttura privata, pertanto, non potrà mai essere certo dell'esistenza di una copertura assicurativa della propria responsabilità civile, in virtù di una polizza stipulata dal proprio datore di lavoro.
Per gli enti pubblici, invece, e segnatamente per le Aziende sanitarie e le aziende ospedaliere l'art. 28 del d.p.r. 761/79 stabilisce che la Pubblica Amministrazione ha la facoltà , e non l'obbligo, di garantire il personale dipendente, mediante adeguata polizza di assicurazione per la responsabilità civile, dalle eventuali azioni giudiziarie promosse da terzi, ivi comprese le spese di giudizio.
(...)
Su otto milioni di persone che ogni anno vengono 'ricoverate' in Italia, 320 mila ( il 4% circa ) subiscono danni o conseguenze più o meno gravi che potrebbero essere evitati.
Di queste, una cifra variabile tra le 14 mila (secondo le stime più ottimiste) e le 50 mila ( secondo quelle più pessimistiche) muoiono a causa di errori compiuti dai medici o causati da una non adeguata organizzazione delle strutture sanitarie.
Questi eventi avversi ( come asetticamente vengono definiti ) spingono gli utenti a intentare circa 12 mila cause ogni anno, per una richiesta di risarcimento danni pari a circa 2,5 miliardi di Euro.
Negli ultimi dieci anni, infatti, il numero delle controversie giudiziarie aventi ad oggetto casi di responsabilità del medico è più che triplicato.
E' certo comunque che l'aumento delle controversie non va letto come indice di un decremento della competenza o della professionalità dei medici rispetto al passato.
Il lievitare del contenzioso sembra invece ascrivibile a vari fattori:
ad una più consapevole presa di conoscenza dei propri diritti da parte degli utenti del servizio sanità;
all'attività di sensibilizzazione compiuta dalle assoc